3 marzo 2008
Lo scorso
giovedì ho seguito su un programma informativo della RAI, un dibattito sulla
presentazione, da parte dell’ISTAT, dell’indice di inflazione per i beni e
servizi ad alta frequenza di acquisto, che mostra un tasso di aumento
tendenziale (un mese di quest’anno sullo stesso mese dello scorso anno) di 4,8%
contro il tasso di inflazione generale del 2,9.
L’indice dei beni ad alta frequenza, chiamato NIAF, include quei beni il cui
acquisto avviene, almeno una volta, entro il mese e riguarda il 39% del paniere
complessivo dell’indice armonizzato europeo dei prezzi al consumo (Nic, National
Index Consumption). Questo è l’indice che l’Italia usa come indice generale dei
prezzi al consumo italiani e come indicatore ufficiale del tasso di inflazione.
Questa notizia
è stata accolta come un “colpo basso” da parte di un Istituto considerato
“amico” del centro sinistra e della (attuale) presidenza della Confindustria, in
un periodo in cui entrambi sono in difficoltà. In effetti è stato un fatto
insolito. Le dichiarazioni dell’esperto dell’ISTAT confermano questa tesi, in
quanto egli ha reso noto che nella primavera del 2007, nella audizione annuale
dell’ISTAT in parlamento, erano stati presentati sia il Nic che il Niaf. Dunque
il Niaf allora esisteva già. Ma l’ISTAT non lo ha mai pubblicato durante il
governo Prodi.
Ora, non è nostra intenzione parlare di politica perché, per chi crede nei
principi del libero mercato, la massima trasparenza dell’informazione economica,
generale e particolare, è comunque un bene. E il fatto che gli organi di
informazione di parte possano fornire interpretazioni “distorte”, utilizzando
dati parziali, non turba affatto chi crede nella libertà dell’informazione
economica, senza nessun monopolio. E’ comunque evidente che la politica del
Ministro Bersani di liberalizzazioni non ha scalfito la struttura non
concorrenziale della grande distribuzione in cui impera il sistema delle
cooperative in oligopolio con pochi altri gruppi.
Democraticamente ci auguriamo che l’ISTAT in futuro, continui a pubblicare tutti
e due gli indici con i dati REALI, così come gli importanti e allarmanti dati
sulla DISABILITA’ ITALIANA.
Ed a proposito di QUESTI dati, pubblichiamo di seguito il super lavoro che l’amico Claudio Roberti, studioso della disabilità, ha analizzato approfondendo i dati presenti sul sito Disabilità in cifre, ed arrivando a conclusioni e posizioni alquanto discordanti.
Questo strumento conoscitivo (seppur molto tecnico) vuol porre dinnanzi agli occhi di tutti, l’ennesima dimostrazione di ciò che è la REALE situazione sulla occupazione dei disabili, l’istituzionalizzazione sistematica (vogliamo semplificare il termine dicendo rinchiusi dai soliti accreditati?) e la globale situazione che la legge dei numeri rende, per sua natura, ancor più drammatica.
Per saperne di più:
-il Paniere: http://www.istat.it/prezzi/precon/aproposito/struttura/struttura2008.pdf
-l’indice dei prezzi: http://www.istat.it/salastampa/comunicati/in_calendario/preconprov/20080229_00/testointegrale20080229.pdf
ITINERARIO ARTICOLATO FRA I DATI ISTAT SULLA DISABILITA’ IN ITALIA: DAI PRESUPPOSTI ALL’ INCREMENTO DELLA MARGINALITA’ – SEGREGAZIONE SOCIALE > “ POVERTA’ RELATIVA “ ALLA TENDENZA VERSO IL “ RITORNO “ NELLE ISTITUZIONI TOTALI. (*)
- Cenno preliminare;
Sarebbe bene che qualsiasi persona inquadrasse la scienza statistica come “ un’ arte “ capace di dare vita e voce ai numeri, soffermandosi sul fatto che molto sovente dietro di loro vi sono delle persone , con relative vicende meritevoli di conoscenza preceduta / seguita da azioni trasversali – sistematiche. In quadri di riferimento dove tutto ciò fosse finalizzabile ai mutamenti.
Appare evidente che gli studi statistici sui fatti sociali riguardanti le disabilità rientrano pienamente in questa modalità di lettura e di operatività.
Per quanto attiene all’ apparente ostilità dei linguaggi tecnici , comuni ad ogni disciplina, si tratta semplicemente di categorie analitiche, ovvero codici da….. decodificare.
- Presupposti ed itinerari ideologico - metodologici verso un sapere problematico;
I rapporti problematici fra ISTAT è disabilità rispondono ad un fatto sociale e radicato ad un vecchio paradigma. Per lungo tempo essi hanno contribuito a che si sia tralasciato un approccio scientifico alla realtà in questione. Tutto ciò ha prodotto / ri – prodotto disattenzioni, distorsioni ed inadeguatezze multiple per molti anni (1). In tale senso, i vuoti prima e le inadeguatezze dopo, hanno funzionato come degli strumenti ideologici d’ indirizzo. In altre forme, attualmente questo indirizzo esiste ancora a mezzo connotati identificativi molto più sfumati e finalità meno palesi. Si tratta di un assetto coincidente con l’ odierna fase del sistema mondo, identificabile in termini di complessità sistemica.
Gli accennati presupposti generali qui si rappresentano a mezzo di un’ articolata stratificazione fra vero & falso. Per costruire ciò, oggi si ricorre ad un gioco metodologico non più fondato sull’ ignorare , ma su di un leggere da una data prospettiva e non da un’ altra , rispetto a….in luogo di…proporzionando questo….in misura di quello….orientandosi a contemplare quello e non questo – in un dato modo in luogo di un altro. Immettere / estromettere nel dosare in una data modalità le presenze e relazioni fra quantità / qualità. Da altra prospettiva, l’ ideologia si traveste in tecnica, ma è solo una delle possibili forme di meticciati culturali.
Appunto, per perseguire tale tecnica entra in gioco una grande tematica epistemico – metodologica, circa i rapporti a doppia integrazione intromissione / non intromissione e la raggiera che ne scaturisce (2). Siamo al cospetto di un uso dell’ ipotesi di ricerca intesa come un elastico ad orientamento. Si tratta di raffinati giochi ideologici a referente tecnico, abilmente orientati verso indici – variabili qualitative < > quantitative. Più avanti si incontreranno varie situazioni empiriche dove emergerà in modo delineato e concreto tale strategia di ricerca.
Questa tendenza trova terreno fertile non solo nel fatto che la statistica è percepita come materia ostica, arida , ma perché nel nostro caso si tratta di un percorso erede di una rappresentazione priva di rappresentazione statistica, come una storia….senza storia. In termini culturali ciò ha contribuito a sedimentare nello spazio e nel tempo inadeguatezze, storture, stereotipi culturali, ovvero il falso dato per vero e viceversa anche qui per dosi.
I guasti sono molteplici, all’ origine dei quali vi sono volontà funzionali ad indirizzi ideologico - politici atti ad estromettere la rappresentazione / una data rappresentazione delle disabilità dal sistema statistico nazionale. Fra gli effetti classici di tale indirizzo, un esempio per tutti: la vergognosa faccenda dei falsi invalidi. Un duro colpo per l’ etica collettiva e l’ immagine di un paese, un grave danno per il bilancio dello stato.
Quindi emerge una realtà da un lato minimizzata ad arte (per quanto è possibile), dall’altro sostanzialmente ignorata. Ma, a causa di mutamenti che non è possibile trattare in questo contesto, il vecchio paradigma di riferimento è entrato in una successiva fase di crisi pur mantenendo una sua notevole vitalità.
Fra i nuovi effetti : quel che segue, ovvero un disastro diffuso, da un versante minimizzato ad arte (per quanto possibile) e dall’ altro sostanzialmente ignorato…..
Evidentemente, gli ostacoli che hanno contribuito al vecchio immobilismo rappresentativo ed al nuovo occultismo rappresentativo “ nulla “ hanno a che vedere con aspetti scientifici in sé , ma vanno ancorati ancora a questioni di carattere politico – culturale. Quegli importanti mutamenti d’ indirizzo già accennati dimostrano la fondatezza di questa constatazione. Quel che si è superato e ciò che ancora resta della citata problematicità attiene in grandissima parte agli sviluppi delle questioni narrate.
A sua volta, universalmente ci si organizza affinché a quella parte di “ verità gradita “ si garantiscano adeguate coperture virtuali – mediatiche, tali da legittimare quel dato indirizzo ideologico in luogo di un altro. Tale impostazione, prescinde dal tipo di paradigma dominante, ma si adegua ad esso.
Se non che, a causa di mutamenti che non è possibile trattare in questo contesto, il vecchio paradigma è entrato in una successiva fase di crisi, malgrado ancora sufficientemente vitale…..
Cosi che, ecco che a partire dal 1999 all’ ISTAT viene imposta la svolta , da qui si può constatare una inversione di tendenza comunque significativa (3).
Quel che trattiamo di seguito vuole entrare nello specifico di uno dei risultati più significativi di questa svolta dell’ ISTAT, presente sul web in forma di un’ articolata raccolta di dati denominata
“ disabilitàincifre “ . Qui, nell’ ambito dell’ indagine periodica - multiscopo sullo stato di salute degli italiani (4) , l’ ISTAT ha pubblicato i primi dati relativi ai ricoveri di queste persone nelle istituzioni totali (sul cui concetto, torneremo) per il quadriennio 2000 / 03 (5).
Come premessa di peso immediatamente virtuale, sarebbe l’ ora che all’ ISTAT (come i ogni organizzazione) si producesse una riflessione di sistema sul concetto di salute e su come – in che modo esso riguardi la disabilità. Da qui si potrebbero desumere importanti conclusioni in merito alla rigida collocazione delle disabilità nel comparto di ricerca fin qui attribuito. In sostanza, ciò significa che dovrebbe entrare in gioco un illustre sconosciuto: il concetto di presa in carico sociale. Indubbiamente tale sistemazione è imposta dalla significativa vitalità di un vecchio paradigma che, malgrado in crisi, reca il suo peso. Evidentemente questo percorso non potrebbe essere volontaristico, ma politico – culturale. Qui il mutamento necessita di spinte geoculturali e su questo torneremo in avanti.
Rispetto alle distorsioni che emergeranno da questo percorso, tale impostazione ne rappresenta il tratto di partenza ed è incastonata in quei ragionamenti epistemico – metodologici di cui sopra.
Sforzandosi di mettere da parte i limiti culturali in merito alla scelta di incasellare semplicisticamente una tematica del genere nel comparto salute, di fatto ci troviamo al cospetto di una svolta. E’ da rimarcare che per la prima volta in Italia disponiamo di statistiche descrittive di questo tipo (TAVOLA SINOTTICA), sottolineando che questo saldo è scorporato da quello relativo alla popolazione italiana con disabilità. In sostanza, l’ ISTAT le ha manipolate come due popolazioni distinte malgrado la prima attinga dalla seconda. Ciò vuol dire che la popolazione rappresenta la fonte e le istituzioni totali il bacino d’ utenza. L’ ISTAT nella relazione ai dati si guarda dall’ esplicitare questa giustapposizione, ma sono i dati medesimi, nonché la demografia a portare verso questa conclusione da percorso ipotetico deduttivo. A partire dal constatare questa scelta , iniziamo ad entrare nei dettagli di un modello di ricerca sopra anticipato.
Evidentemente, non possono essere due popolazioni a “ compartimenti stagni “, nel senso che questi stessi dati evidenziano dei flussi. Anzi, in via teorica, si tratterebbe di una mobilità a doppia direzionalità, ma in termini orizzontali questo non emerge……
Già a questo punto, rispetto a quella realtà in precedenza disattesa, il “ passo “ appare significativo. E’ significativo nel vero senso della parola perché i numeri parlano (TAVOLA SINOTTICA), si voglia – gradisca o non….
Appunto si tratta di un ‘ indagine senza precedenti , parte dei suoi significati si estrinsecano in tale carattere. Infatti, per risalire ad eventuali precedenti da poter poi parametricizzare, bisognerebbe costruire uno studio compilativo sui dati alla fonte relativi agli anni precedenti. Posto che “nulla è impossibile “ si tratterebbe di tentare di entrare in meccanismi burocratici – interessi di non semplice penetrazione (6). In ogni modo, sarebbe il caso che questo avvenisse.
Stando a quanto disponibile , si tratta di uno strumento conoscitivo comunque innovativo, molto utile, malgrado tardivo ed evocante ciò che manca….
Infatti, addentrandosi in quel percorso, una valutazione positiva di fondo non esclude che questa indagine ISTAT presenti lacune di difficile comprensione (se non vi fosse senso ideologico) per un istituto dotato di mezzi, prestigio e ruolo pubblico di alto profilo. Fra queste emerge innanzi tutto la mancanza dei dati - saldi relativi a dimissioni / decessi. Si tratta di una mancanza di riscontro statistico rispetto a quella orizzontalità sopra anticipata. La lacuna è difficilmente spiegabile in termini tecnici, i suoi effetti recano un dato peso rispetto alle analisi dei dati. Constatiamo con disappunto questo dato di fatto, malgrado non incida sui significati strutturali – di sistema. In ogni caso, tale mancanza innesca anche qualche interrogativo inquietante: vorremmo sapere per quali cause si muore nelle istituzioni totali, qual’ è l’ età media per la quale maschietti e femminucce passano a miglior vita…….
Pare che secondo l’ ISTAT, neanche questa estrema orizzontalità ci sia dato di sapere…..
Sarebbe a dir poco interessante sapere che intervalli di tempo vi sono fra ricoveri e decessi , specialmente per quelle classi di età attestate su valori inferiori rispetto alle aspettative di vita media generale, secondo i generi. Insomma, per dirla crudamente non in sociologhese: maschi e femmine (non anziani) quanto campano nei reclusori?!....
Nell’ ipotesi sia possibile - probabile che escano da vivi, per quanti ciò avviene? Per quali cause?Con quali aspettative di vita?.... Con quali prospettive sociali?.....
Ossia, rispetto ad i ri - internamenti , vi sarebbero recidive?...
A queste domande, di non poco conto, con i dati disponibili non è possibile rendere risposta!
Inoltre, manca anche ogni riferimento alle classi d’ età e relativi intervalli, i livelli – tipi d’ istruzione, i riferimenti ad eventuali attività lavorative precedenti e / o nell’ ambito dell’ istituzione totale. In quest’ ultimo caso si tratterebbe di informazioni “ altamente pregevoli “…… perché di significato ergonomico - riabilitativo……visto che i teorici – fautori dell’ ideologia del custodialismo gli attribuiscono tali capacità benefiche……dovrebbero ricercarle per ostentarle e decantarle!....
O no?!....
E’ inoltre assente ogni riferimento all’ infanzia – adolescenza ed ai percorsi d’ invecchiamento.
Visti i presupposti di cui sopra, ne consegue che non esiste alcun dato riferibile ad un qualche progetto finalizzato a restituire tali soggetti alla società. Da qui ne discende che non vi è nessun altro dato che possa far risalire alle provenienze geografiche ed i legami con la famiglia, come con il territorio di destinazione e quello d’ origine. Se si trattasse di persone “ normali “ , si tratterebbe di contenuti popolari, di riferimento universale…..
Nello specifico , si tratta di mancanze solo “ apparenti “ perché le variabili contemplate , eccetto per le questioni dimissioni - decessi, rientrano nei quadri di riferimento essenziali per un’ indagine riguardante persone internate in istituzioni totali. Questa è una pregiudiziale dal peso ideologico imprescindibile. Presso i serragli non possono esservi aspirazioni degne di rilievo, caratteri e stili di vita meritevoli di essere contemplati in una indagine statistica.
Evidentemente, anche sofferenze (deficit di qualità della vita) e morte vengono canalizzate come percorsi consuetudinari….
Da M. Foucault, F. Basaglia, E. Goffman (*) , concettualmente sappiamo cosa sono le istituzioni totali, anche all’ ISTAT lo sanno…..e non si sono sprecati più di tanto……
E’ interessante mettere in rilievo che in materia di istituzioni totali ancora oggi si tenta di eludere il concetto, ricorrendo ad eufemismi linguistici fra “ residenze comunitarie “ ed altre definizioni di questo tipo (*). Evidentemente, le finalità di questa rappresentazione sono simultaneamente ideologiche e burocratiche.
Attenzione, il constatare questa verità sociologica non giustifica alcune lacune sopra enunciate: si ribadisce che trattiamo delle attività di un istituto di rilevazione statistica d’ interesse e conduzione pubblica. Dietro quei numeri, vi sono persone!
Ad i citati deficit si aggiunge un alto, di tipologia collaterale, ma comunque grave e degno di attenzione: mancano i dati riferiti all’ ammontare annuale della spesa dello stato a favore dell’ insieme delle variegate tipologie burocratiche di istituzioni totali (*). Questa “ disattenzione “, in un paese dove TUTTI SI DIMENANO A FAVORE DEL CONTROLLO QUANTITATIVO / QUALITATIVO DELLA SPESA PUBBLICA, appare a dir poco una stramberia, una strana amnesia seguita ed aggravata da indifferenza!......
Stando alla produzione ISTAT, partendo da citati studi sulla disabilità piuttosto articolati, ed ivi approdando ad un’ Indagine sulla Spesa Sanitaria Pubblica / Privata, appare a dir poco strambo che non si siano posti la necessità scientifica di reperire - disaggregare questo dato. Sapere quanto lo Stato e le Regioni spendono segnatamente per le varie “ tipologie di istituti “, non è una qualunque notiziola giornalistica che l’ ISTAT può allegramente fare a meno di rilevare!....
Talvolta, se si vuole escludere la variabile ideologica, appare difficile comprendere taluni fatti , eccetto che non si ricorra a quelle scienze che si occupano dei meandri della mente ......
Comunque, non si tratta di un arcano inspiegabile: è evidente che nei dedali della burocrazia italiana fra Ministero dell’ Economia e Finanze , Ragioneria Generale dello Stato e Regioni, questo dato DEVE PUR ESISTERE. E’ certo che l’ ISTAT in carteggi ufficiali sostiene che non dispone di queste statistiche (7), omettendo di argomentare i motivi di questa lacuna. Evidentemente, le motivazioni sono definibili in termini di MANCANZA DI VOLONTA’ POLITICA. Purtroppo non riusciamo a focalizzare altre cause , ma questo sarebbe meritevole di riflessioni successive…
Del resto, non scopriamo qui che all’ ISTAT non è attribuibile una volontà politica, ma il RISPONDERE SOLERTEMENTE AD ESSA.
Certamente la tematica ha connotati istituzionali - politici da approfondire; ai sensi di tutto l’ impianto ispiratore della L 104 / 92 si chiamano in causa precisi doveri di monitoraggio del Ministero per la Solidarietà Sociale ed i compositi…..ruoli delle “ rappresentanze “ organizzate.
A sua volta, i limiti passati in rassegna vanno colmati anche in prospettiva di costruzione di modelli parametrici di profilo U E. Questa necessità è imposta dal sistema mondo e malgrado le lacune, rientra in quanto stabilito dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone Disabili, Art. 31.
Malgrado un’ eccessiva genericità , alle prescrizioni del citato articolo si giustappongono i contenuti della citata Convenzione ONU. Ciò significa che i vari istituti di statistica devono iniziare a ragionare con criteri e finalità molto più articolate, scientificamente funzionali a strategie conoscitive di tipo inter - connesso, complesso e globale.
- Per una lettura critico – analitica dei dati: il quadro statistico di una condizione imposta;
Nonostante i percorsi faticosi e controversi, con questa prima indagine dell’ ISTAT sui ricoveri delle persone disabili nelle istituzioni totali, già per come è, emergono dei dati interessanti, d’ importanza molteplice. Questo malgrado contempli un coesistere fra elementi spuri resi da un’ aggregazione generica fra anziani e disabili (TAV. B). Due entità per molti aspetti distinte ed anche distanti, ma sovrapposte per manierismi culturali.
Entrando nel vivo degli ulteriori dati da fonte ISTAT, aggregandoli / disaggregandoli secondo vari ordini, innanzi tutto emerge che per tutto il periodo osservato si evidenzia una crescita costante e significativa dei ricoveri (TAV. SINOTTICA). Essi riguardano indistintamente maschi e femmine, malgrado le femmine si attestino su valori inferiori. Almeno per quel periodo , malgrado maggioritarie nell’ universo statistico e nella popolazione tematica, sono maggiormente refrattarie ai reclusori. Per taluni versi il dato è sorprendente, per alti non lo è affatto o comunque molto meno. A parità di menomazione – disabilità con i referenti maschili, è ipotizzabile si inneschino altri meccanismi di dissuasione - refrattarietà. In ogni caso, a lungo andare si tratta di resistenze di congiuntura - effimere, a fronte di indirizzi di sistema.
Per approfondire ulteriormente quel dato specifico si necessiterebbe di materiali statistici da analizzare in approcci parametrici sul genere sessuale, essi sarebbero reperibili solo rispetto alla popolazione disabile in generale, limitatamente ad alcuni indici. Infatti, disabilitaincifre non si caratterizza come studio di genere e questa è un’ altra lacuna che l’ ISTAT farebbe bene a colmare.
Ora, ciò che pesa maggiormente è l’ effetto di quelle macro variabili dotate di una forza tale da segnare una tendenza. Essa è sufficientemente netta, generale e riscontrabile in termini di crescita. Infatti, la crescita percentuale è riscontrabile sia per annualità che al saldo , per entrambi i generi. Le tre medie delle medie, attestate su valori corposi, rendono ulteriore significato di omogeneità ad una tendenza netta (TAV. SINOTTICA).
Raffrontando il saldo ricoveri con l’ insieme della popolazione disabile , il dato è particolarmente interessante (TAV. A). Inoltre, la raffigurazione delle tipologie di disabilità , costituisce un primo elemento di disaggregazione rispetto all’ entità anziani (TAV.B), malgrado ciò si evidenzi con nettezza altrove (TAV. A2).
Del resto, ancora una volta appare evidente che i riferimenti ai caratteri di tale popolazione sono indispensabili, se non altro perché essa funge da universo - serbatoio da cui attinge la produzione del sistema delle istituzioni totali. Tornando alla popolazione generale , quel che emerge in modo vistoso è che nel passaggio dalla prima alla seconda classe d’ età, sia per maschi che femmine, si impone un calo netto. Attenzione, qui trattiamo di un calo netto di persone! Esso si attesta rispettivamente in proporzioni del -115, 78 % e del - 129, 41 % (TAV. A2). E’ un dato evidente, anzi macroscopico. Una “ curva “ cosi vistosa si può spiegare solo in termini di decessi o di ricoveri nelle istituzioni totali. In tutti i casi ci si dovrebbe interrogare sulle cause ed i contesti di tali “ scomparse “, ma pare che non vi sia percezione di questi vuoti statistici. Nel caso vi sia, pare accompagnata da indifferenza e / o fatalismo - nichilismo. In tutti i casi, tali posizioni dovrebbero far riflettere profondamente le persone disabili e chi si ritiene seriamente vicino ad esse!
La stessa ISTAT fornisce il dato,ma non lo spiega. Parrebbe fuori posto affidarsi a spiegazioni fantasmagoriche fra medicina e misticismo…..
Insomma, saremmo curiosi di sapere in quali modi si potrebbe dar conto del fenomeno di questi strani “ desaparecidos “ ?!....
Tutto ciò è inquietante, incluse le ignoranze - indifferenze – negligenze istituzionali, di cui talune molto gravi, tipo le competenze del potere giudiziario! A tal proposito, porsi delle domande e non poter giungere a conseguenti risposte non significa arrivare a conclusioni affrettate, ma quanto meno a formulare ciò che è alla base della ricerca della conoscenza: IL DUBBIO > LE RISPETTIVE VOLONTA’ DI SAPERE…..
Del resto, sarebbe a dir poco fantasioso pensare a chi sa quali ulteriori e recondite ragioni per spiegare una “ migrazione “ di questa portata. E’ ipotizzabile sostenere che siamo al cospetto di un caso limite da elevare a simbolo: la rappresentazione plastica di un rinnovato grande abbandono. Si, ma dove?... “Hic sunt leones “!.....
Se si sapesse ciò che non si sa, in seguito lo sforzo consisterebbe nel tipizzare le situazioni più esposte a tali destini, focalizzandone gli indici causali. Tutto questo al momento è ignorato per una commistione - misto fra scelte ideologiche ed ignoranza…..ma indirettamente vi torneremo più avanti.
Considerando che i più prossimi ai ricoveri appartengono alla variabile – quota dei cosi detti
“ confinati” , questa tipologia deve essere circostanziata a mezzo di altre variabili.
Stando alla popolazione generale, in riferimento ad i primi sei intervalli d’ età (TAV. A2), il solo
“ confinamento “, inteso come non autosufficienza > relegata alla sedentarietà > marginalità > segregazione, reca una notevole ampiezza. Si tratta di un dato di fatto approfondito dall’ISTAT medesima, nello Studio sulla “ non autosufficienza “. Si tratta di una rappresentazione proiettabile oltre il periodo osservato, questo perché la situazione è strutturata; vi è correlabilità fra menomazioni > disabilità e mancanza di significativi mutamenti macro in termini di interventi di welfare state. Pertanto, nel suo complesso l’ entità della questione è sufficientemente raffigurata in rapporto alle variabili contemplate (TAV.A1) (TAV. A2). Nell’ accezione generale, si tratta di una condizione di notevole peso ponderale e per una forma di semplificazione nel linguaggio, è di fatto riferibile ad i cosi detti “ gravi – gravissimi “ . Qui , per quanto attiene all’ ampiezza della forbice relativa alle classi d’ età non anziane, assume notevole peso la mancanza di pratiche universali – sistematiche in materia di vita indipendente. Fra i deprivati di tale diritto umano > soggettivo , ricorrendo ad un’ identificazione ipotetico deduttiva, più esposti a derive verso le istituzioni totali, sono identificabili secondo il seguente elenco per un profilo soggettivo - combinato : A) adulto non autosufficiente ; B) con genitori anziani o orfano di questi (di uno o entrambi) ; C) privo di supporto effettivo di altre figure parentali – amicali permanenti - proporzionate; D) inoccupato / disoccupato ; E) con un reddito (da assistenza) a partire dal medio, a decrescere; F) livello culturale basso; G) privo di assistenza diretta – proporzionata; H) con problematiche sanitarie collaterali / aggiuntive alla disabilità e necessitanti di cure. In sostanza, ponendo una gamma ad intensità quantitativa – qualitativa di bisogni speciali pari ad X , è nel correlarsi delle variabili come da combinazione multi – variata A / H , che si materializzano le condizioni che portano verso le istituzioni totali. La presenza di tali singoli profili, posta in forma di scala combinatoria , funge da differenziale probabilistico di tendenza. Ovvero, si possono rilevare variazioni per quantità - qualità in rapporto all’ insieme della situazione soggettiva.
La questione reddituale e quella dell’ accesso alla vita indipendente sono fortemente giustapposte, illudersi di scinderle porta a situazioni illusorie, velleitarie, fallimentari. Ovvero, un indirizzo del genere si tramuta in un ennesimo viatico verso i famigerati diritti inesigibili. Per i soggetti relativi alla citata combinazione A / H, detta inesigibilità si rivela come un evento altamente probabilistico. A crearne i presupposti per giungere a questo vi è un deficit di supporti personalizzati, derivanti da carenze – mancanze negli interventi sistematici.
Infatti, non rispondervi o farlo in modo inadeguato in questa correlazione fra diritti inesigibili – erosione di quelli esigibili, si aprono le porte delle istituzioni totali per abbandono < > povertà relativa. Pur limitatamente, è necessario soffermarsi sul concetto di povertà relativa , sottolineando che non risultano studi sociologici che applichino tale categoria alle disabilità, malgrado vi siano i presupposti per costruire modelli analitici di questo tipo (*). In ogni modo, la variabile reddito e quella della disabilità in rapporto ai tipi - intensità delle non autosufficienze, già induttivamente reca una forte correlazione – regressione statistica. Malgrado qualcosa qui già emerga, sarebbe l’ ora che si facessero studi parametrici di tale profilo.
In ogni modo, questa realtà da vari soggetti è ignorata / elusa ed i motivi sono multipli e li stiamo snocciolando, malgrado necessitino di grandi ed appositi approfondimenti.
In Italia la vita indipendente resta un diritto inesigibile ed i dati ISTAT qui analizzati, deduttivamente lo dimostrano. Avviene questo innanzi tutto per letture etiche , monetarie, politico – sindacali di marca stereotipata. A fronte di tutto questo, svariate organizzazioni e soggetti si fermano ad approcci ideologicamente addomesticati, frantumati in vari tipi / sotto tipi > fini. Per effetto, sovente si opta per ripiegamenti assistenziali di basso profilo, attinenti alle cosi dette assistenze domiciliari. Sono arnesi del passato, i residui recalcitranti della vecchia “ assistenza”, malgrado le tante articolazioni organizzative degli odierni modelli di welfare state (8). Rispetto agli indirizzi utilizzati, rispetto alla “nostra anomalia “, si può comprendere cosa vi è dietro. A tal proposito appare illuminante ciò che accade nelle situazioni di caos da aree semi periferiche – periferiche del sistema mondo (9).
Sul fronte dei diritti esigibili in netta e costante erosione, vi è una grande emergenza sociale dai tratti discriminatori, ignorata per volontà politiche rafforzate da intrecci consociativi a vari livelli :eccetto che per i non vedenti, è monetaristicamente dimostrabile ed evidente che le prestazioni pensionistiche verso le persone disabili sono delle residualità in via di esaurimento (*). Anche qui esistono dati ISTAT, ivi non richiamati perché non vi è nulla che non sia risaputo. Lasciando inalterato questo trand, le rilevazioni ISTAT per il quadriennio successivo non potranno che registrare un’ impennata ben più ampia nei ricoveri presso le istituzioni totali. D’ altronde, grazie a studi appropriati, si tratta di situazioni che già oggi si potrebbero pre – definire per pre- venire, ma l’ intoppo è altrove…..
A fronte di una tendenza del genere, tutta la materia welfare necessiterebbe di letture oristiche, al pari di tutti i tipi di fenomeni socialmente complessi. Però ripetiamo, al momento, tale indirizzo appare ben lontano.
Ecco che si rendono necessari quadri analitici a più variabili: parallelamente alla citata mancanza di supporti sistematici verso una vita indipendente, simultaneamente si aggiunge il fatto che in più di 35 anni di politiche di avviamento al lavoro si sono raggiunti risultati quantitativamente mediocri, sostanzialmente fallimentari. Infatti, dai più recenti quadri ISTAT su condizione professionale ripartita per generi (TAV. D) e sui tassi d’ occupazione (TAV D1) , si desume che siamo al cospetto di formazioni lavorative – professionalità sostanzialmente inesistenti. Da qui discende che anche il concetto di collocamento mirato, resta un principio astratto, inesigibile. Ciò avviene all’ origine per mancanza nella capacità di costruire profili idonei ad offrire lavoro, a sua volta sovente questo trova riscontri in negativo da parte della domanda di lavoro.
In conseguenza dell’ insieme di modelli organizzativi ben strutturati, dalle statistiche ISTAT sull’ impiego – lavoro mirato, emerge come dato nazionale che gli occupati di entrambi i sessi ammontano a meno del 18 % , ma il 7,4 % di tale aggregato appartiene all’ insieme delle tipologie di contratti di lavoro ad interim. Ovvero, sottraendo anche questi occupati….nel frattempo, vuol dire che gli inoccupati – disoccupati – disoccupabili superano abbondantemente i 2 / 3 , ovvero i 3 / 4 della popolazione in età lavorativa. Cosi che , di fatto essi si attestano su percentuali ben superiori all’ 80 %. Inoltre, disaggregando la quota di coloro che hanno varie forme di menomazioni a carico di vista - udito dal totale degli occupati , il saldo finale degli avulsi dal lavoro sale ulteriormente di altri valori percentuali. La precisione di tale ultimo dato sarebbe particolarmente significativa perché è notorio che le disabilità a carico di vista – udito da “ sempre “ sono le più protette nel collocamento a discriminazione positiva. Però, stranamente…..non emergono dati statistici disaggregati secondo tipologie di disabilità e ciò è contrastante con il concetto di collocamento – lavoro mirato nonché con gli ICF dell’ OMS…..
Al di là delle “ distrazioni teorico - metodologiche “ , anche da queste rappresentazioni statistiche per quel che sono….. si può desumere un quadro indicativo sufficientemente eloquente. Se si trattasse di “ non disabili “ , si potrebbe sostenere che si sarebbe al cospetto di cifre da altre età storiche oppure altre aree semi periferiche > periferiche del sistema mondo. Insomma, quella rappresentata dall’ ISTAT è una realtà economico – sociale da depressione - pauperismo in chiave odierno - tematica……
Stando al contesto di quest’ analisi, prescindiamo dall’ analizzare in profondità i motivi di risultati cosi fallimentari, basta affermare che si tratta degli effetti di indirizzi multivariati, sistematicamente orientati ad escludere tali persone dal lavoro, eccetto per le disabilità sensoriali come dato storicizzato.
Per tutto il resto, al di là di dichiarazioni di facciata, si tratta ancora di una “ forza lavoro “ considerata improduttiva, ostacolo della produttività dei lavoratori “ normali “. Malgrado si tratti di vecchi stereotipi culturali, essi si rivelano ancora sufficientemente forti, prodotto di un vecchio paradigma molto vitale. A riprova di un forte radicamento, anche dall’ avvento di tutta quella variegata gamma di offerte di lavoro ad interim, tali indirizzi restano recalcitranti. Inoltre, sarebbe interessante approfondire la relazione fra vita indipendente – ausili e capacità produttiva, ma a tal proposito vi è un vuoto di rappresentazione statistica, fra le dirette conseguenze del non voler / saper applicare gli ICF - OMS. Ne discende che il lavoro mirato resta un assunto burocratico, un proposito generico da perseguire con modalità estemporanee.
Gran parte delle cause di tale indirizzo riguardano fortemente spinte - scelte accennate e meritevoli di tornarvi.
E’ fin troppo evidente che la materia disabilità necessita di letture – interventi d’ insieme, ovvero approcci sistematici. Si tratta di un presupposto forte, tralasciarlo porta a varie forme di distorsioni. Da qui, quanto sin qui delineato si giustappone anche alle questioni dell’ accesso alla conoscenza, alla fruizione del territorio e della gamma degli ausili. Anche rispetto a tali ambiti siamo al cospetto di approcci troppo approssimati, statisticamente non rappresentati. In ogni caso, anche per questo comparto sarebbe ora che l’ ISTAT iniziasse ad osservare gli ausili e ciò che rappresentano nel loro complesso.
In merito ai dati relativi ai livelli di scolarizzazione, una forte problematicità quantitativa , ma innanzi tutto qualitativa, dalla la seguente tavola comparativa emerge con nettezza (TAV. E ). Qui, secondo il primo ordine, si evidenzia che i senza titolo (formalmente, analfabeti puri) prevalgono considerevolmente rispetto ai corrispettivi non disabili. Ciò avviene raffrontando tutte le disaggregazioni / aggregazioni di genere. Il dato è grave, malgrado manchino le tipologie di disabilità, da cui si potrebbero meglio delineare taluni connotati in termini di deficit di apprendimento. In ogni caso, le dimensioni rappresentate evidentemente sfondano oltre quella tipologia. Esse vanno ben oltre quel carattere funzionale. Infatti, prendendo a riferimento il quadro di raffronto fra disabilità - titolo di studio da età post obbligo (TAV. E2) (TAV. C), collocati in una dimensione fluttuante e per questo non disaggregabili, gli analfabeti < > semi alfabetizzati superano il 91 %! Questo, malgrado una qualche “ miglioria “ sia riscontrabile per la quarta fascia. Nell’insieme, tali valori percentuali si rivelano ancor più interessanti in negativo perché contemplano quella quota di soggetti divenuti disabili in età adulta, ovvero in età peri - post scolare. In altre parole, il dato contempla coloro che non hanno svolto e / o hanno svolto in parte i cicli scolastici da disabili. Fra questi sono da considerare non solo gli appartenenti alle ultime classi d’ età, ma anche alle prime. Quest’ ultimo tratto mette in risalto che , almeno per alcuni aspetti, si giustappongono con i livelli d’ istruzione del resto della popolazione, malgrado l’ intervenienza di elementi alieni agli interessi dei minori disabili….
A tutto questo, emerge un’ apparente contraddizione: in termini di valori assoluti, la loro presenza nel ciclo dell’ obbligo si rivela significativa ed omogenea (TAV. E1). Evidentemente, la risposta è nei vari motivi latenti e per effetto…..nella qualità prodotta da codesta presenza. Tranne che per casi circoscrivibili come eccezioni che confermano la regola, qui subentra una grande questione sociopsicopedagogica circa la (voluta) confusione concettuale fra un inserimento allegramente presentato come integrazione scolastica. Gli effetti di questa vulgata, funzionale ad un grande presupposto ideologico – organizzativo, si riversano nei cicli successivi e conseguentemente in ambiti universitari. I loro connotati possono anche essere letti in termini di differenziazione – discriminazione di genere (TAV. E). Una lettura d’ insieme delle quattro precedenti tavole, rende i connotati di una situazione i cui esiti rispondono ai presupposti.
In conseguenza di un percorso pre-scritto ab imis, si può comprendere l’ irrisorietà di questa presenza in ambiti Accademici. Infatti, in termini percentuali emerge una modesta rilevanza statistica di questo segmento, qui si spiega la scelta metodologica dell’ ISTAT di non disaggregare tale quota da quella relativa ai diplomati (TAV. E2). Statisticamente, l’ operazione avrebbe avuto poco significato, valutando che le statistiche devono recare peso quantitativo, malgrado specialmente in questi casi conti anche la qualità. A sua volta questo non esclude che l’ ISTAT abbia sfruttato la strategia di occultare l’ entità del micro lasciandola nel macro….
A conti fatti, si tratta di un quadro prospettico che si esplicita a mezzo di valori assoluti, ivi emerge che gli studenti universitari si rilevano essere i classici quattro gatti (TAV. C). Per tutti, gli studi universitari sono collocati al culmine di un percorso selettivo, in tal caso la questione è nei caratteri marcatamente ideologici di detta selezione. Il sistema dato determina i presupposti affinché le maglie della griglia producano quanto dicano i numeri.
In questo modello i penalizzati sono i giovani disabili, la comunità scientifica ed il sistema paese. Per tale situazione occorrerebbe uno scatto, in tal senso il mondo accademico potrebbe giocare un ruolo rilevante. Questo potrebbe avvenire nel caso in cui la comunità scientifica prendesse in carico la questione disabilità come referente interdisciplinare. A tal proposito vi sono già pallidi - incoraggiabili segnali, ma il percorso è ancora molto problematico e lungo. Il sistema delle Università è il recettore di un iter, da questi assume quasi specularmente il peso di contraddizioni e limiti vari. L’ indispensabile scatto in avanti consiste nel non riprodurle. Evidentemente, tale passaggio non può essere automatico.
Tirando le somme, a più di 30 anni dall’ inserimento dei disabili nel sistema dell’ istruzione pubblica, la situazione è definibile come disastrosa, sconcertante! Pur esistendo elementi di positività ascrivibili al concetto d’ integrazione, questi restano delle mere controtendenze.
Inoltre, mancando di serie storica, i dati ISTAT non contemplano ciò che avvenne negli anni che precedettero il 1977: un significativo laboratorio sperimentale dove “ abusivamente “ si fece inserimento > integrazione scolastica con risultati molto interessanti e sovente lusinghieri. Di quel percorso non emerge nulla di diretto. Diciamo che non v’ è memoria, probabilmente non solo da parte dell’ ISTAT. In termini culturali, il dato è tanto significativo quanto grave…..
Eccetto per decessi – migrazioni, di fatto quei dati sono contemplati nel quadro dei valori rappresentati. Ciò significa che neanche quel dato spurio riesce a modificare in positivo la situazione data. Però, resta che sarebbe stato interessante verificare il peso di questa presenza.
In ogni caso, stando alla popolazione disabile nella sua interezza, per parametricizzare quei dati con corrispettivi da “ normali “ , l’ analisi è assimilabile a quella per il lavoro: per incontrare percentuali di tali proporzioni , analisi diacroniche o sincroniche porterebbero rispettivamente alle citate conclusioni.
Inoltre, secondo i più recenti dati OCSE (10) , la situazione generale della scolarizzazione in Italia è in qualche forma giustapponibile con la realtà qui rappresentata.
Le cause di tutto questo sono molto articolate, ancora una volta risalenti a questioni di sistema. Il principale indice di misurabilità sarebbe riconducibile ad un’ ulteriore analisi qualitativa dei dati, ma l’ ISTAT non ha affrontato il tema, tanto meno fornisce altre variabili su cui poter costruire per vie indirette tale tipo di itinerario. Che dire, si tratta di un’ altra di quelle carenze a cui l’ ISTAT dovrebbe dar conto e far fronte.
Da un’ osservazione partecipata sappiamo che quello che manca è esattamente uno scatto che porti dall’ inserimento scolastico all’ integrazione. Infatti, tranne che per casi isolati, si tratta di un limite qualitativo strutturato sin dai cicli dell’ obbligo e riprodotto ad i livelli successivi degli approcci alla conoscenza. Un sapere decontestualizzato, incluso fosse eccelso, è quanto meno poco probabile che possa contribuire significativamente a produrre effetti sociali in direzione opposta alla marginalità. Infatti, questi dati fungono da presupposto per spiegare l’ altro grande fallimento: l’ avviamento al lavoro. E’ evidente che la questione istruzione – cultura rappresenta una grande premessa verso mancati incontri con il lavoro, sottolineando che i tal caso detti incontri non possono che essere mirati. Restando ai dati ISTAT, a tal proposito si rivela sufficientemente significativo il quadro comparativo riguardante le percentuali (“virtuali”) di “ forza lavoro “ aggiornate allo 04 – 05 (TAV. D).
Anche qui sono riproducibili gli approcci analitici utilizzati in precedenza. Incluso tale ambito, le positività attengono ad elementi da controtendenza. Nello specifico, quel che emerge fra gli effetti, è la forte inesigibilità del concetto di collocamento mirato, causa evidenti limiti – vincoli culturali e burocratici (vedi monografia ISTAT). Del resto, il già rappresentato tasso generale di occupazione è lo strumento più diretto ed efficace per esplicitare questo dato.
Tutti gli ostacoli riguardanti i percorsi di un sapere finalizzato al lavoro, per loro parte ponderale fungono da presupposti latenti e manifesti verso un marcato incremento della marginalità – segregazione sociale e ciò che ne consegue…..
Sia rispetto ai comparti di istruzione che lavoro mancano i dati disaggregati per classi d’ età e questo limite si ripercuote in varie direzioni, non ultima quella di non poter costruire una rappresentazione approfondita della questione istituzioni totali.
In ogni caso, il quadro sin qui delineato è già sufficientemente eloquente per delineare un indirizzo sistemico che funge da presupposto sociale al ri - avviamento verso le istituzioni totali. Parallelamente, il rafforzamento di questo indirizzo è dato dagli sbocchi verso gli accessi alla fruizione del territorio ed agli ausili per la mobilità. In sincronia, tutto ciò si riconduce all’ insieme dei percorsi di autonomia < > indipendenza, includendo gli accessi – livelli di fruizione di una notevole gamma di ausili materiali e / o virtuali.
Anche tutto ciò funziona a sfavore di percorsi per una vita indipendente.
Ecco che rispetto ad una benché minima rappresentazione di questa realtà, qui la presenza dell’ ISTAT si rivela sostanzialmente nulla, stratificando tale carenza con quelle già incontrate.
In ogni modo, su tutta la questione, i saperi disponibili già per quel che sono mettono in risalto che anche qui viene reiterata la faccenda dell’ inesigibilità , identificabile anche sotto forma di carenze nelle complesse dinamiche fra quantità / qualità > determinazione / interpretazione (11).
A questo punto, appare ulteriormente evidente che l’ insieme delle situazioni passate in rassegna fanno sistema in negativo.
- Dalle cause all’ effetto: il “ ritorno “ nelle istituzioni totali;
In questo itinerario fra le “ disabilitàincifre “ dell’ ISTAT lette articolatamente, quel che emerge è un quadro desolante ed inquietante. Ciò che non è stato osservato dall’ istituto di statistica ed i pochi elementi di positività, divengono dei dettagli oscurati da quanto emerso. Insomma, si potrebbe dire: vi è quanto basta!....
La constatazione di un fare sistema in negativo di tale portata, significa comprendere che quella e non altre, rappresenta la sistemazione data. Tale assetto fa emergere l’ apparente contraddizione fra i diritti sic et simpliciter ed i diritti diversamente……aggettivati : diritti esigibili, diritti esigibili perfetti.…
Il panorama configurato entra in stridente contrasto con i principi della Convenzione ONU sui Dritti delle Persone Disabili e con gli attinenti contenuti della successiva Carta dei Diritti promulgata di recente dall’ U E. A questo punto, malgrado si tratti di provvedimenti successivi alla realtà sociale disegnata dall’ ISTAT, comunque viene da interrogarsi su di un’ evidente contraddizione fra la dimensione virtuale e quella reale. Questo approccio è reso possibile dal fatto che i contenuti dei citati provvedimenti sono presenti da alcuni anni nel circuito virtuale. In sostanza, si tratta di due facce della medesima medaglia: quella dei diritti inesigibili e le costruzioni retorico – demagogiche ad essi connesse….
Il panorama di coloro che si fermano a constatare – celebrare l’ esistenza dei diritti inesigibili è piuttosto nutrito, ma in sostanza si ferma alla sola manipolazione….per spostamento dei fini. La tecnica , in sostanza, gioca sugli effetti di un uso politico di un istituto di diritto (12).
In questa fase del sistema mondo dovrebbero emergere condizioni affinché si delinei un sapere che vada oltre, che ne intenda le cause per reperire tutte le variabili affinché ci si avvii verso altre sistemazioni reali, con una virtualità in posizione di strumento di supporto. Però sappiamo che in Italia, tutto ciò al momento è solo un auspicio di alcuni.
A sua volta, sappiamo che quella condizione antropologica definita come “ disabilità “ ha subito sistemazioni – collocazioni storico sociali votate a tipologie di destinazione differenziate, ma in ogni caso tutte fortemente drammatiche (13). Ne consegue che da qui si è imposta nello spazio e nel tempo la negazione dei diritti. Fra la fine del secolo breve e gli inizi di questo, sono stati concessi alcuni diritti (14) , ma segnatamente per alcune aree del sistema mondo, essi sono stati convertiti nell’ espediente dei diritti inesigibili (15). Fra queste aree , emerge il caso dell’ Italia. Sappiamo che trattiamo della la terra dei padri del diritto e simultaneamente del laboratorio dove si pratica la più sistematica forma di elusione applicativa del diritto nell’ ambito dell’ area centrale del sistema mondo…..
Nello specifico, si elude il diritto in quella vasta gamma di casi ove è funzionalmente “ scomodo “, segnatamente la disabilità rientra in tale presupposto.
Come verificato in varie forme, la formulazione della tecnica dei diritti inesigibili rappresenta un espediente empirico che fonda su di una molteplicità di variabili. Sulla capacità di organizzare eterne aspettative su di essi, si giocano equilibri ed interessi (16). Di fatto, gli effetti si convertono in uno strumento di controllo politico. In tale ambito le risposte possono essere ricercate nei rapporti di potere fra la forma partito e la gamma eterogenea delle rappresentanze organizzate. Qui si tratterebbe di addentrarsi in una questione accennata in precedenza e demandata a riflessioni specifiche (17).
Sono altrettanto specifiche le soluzioni, trattandosi di una realtà stagnante, dai connotati circolari.
Al momento, quel che emerge dall’ ISTAT è un quadro statistico a tinte cupe ed inoltre; qui non vi sono i presupposti per un’ inversione di tendenza, ma di un netto consolidamento – espansione di ciò che è in atto. Tutto questo, malgrado è da precisare che non si tratta di una tendenza ineluttabile, un futuro segnato in eterno.
Nell’ attuale sfacelo, di positivo potrebbe esserci che , il pericolo del ritorno al passato in forme attuali, porti all’esasperazione ed alla conseguente emersione di talune gravi contraddizioni immediatamente sopra accennate.
In ogni caso, sarebbe ingenuo pensare che si tratti di passaggi automatici o comunque semplici.
Al cospetto dell’ entità della realtà rappresentata, viene da chiedersi: “ Perché questo notevole patrimonio conoscitivo non è stato divulgato – analizzato “ in proporzione a quanto emerge?.... Malgrado si tratti di studi scientifici interessanti ed attuali, utilizzabili in chiavi culturali e / o politiche. Perché non hanno ricevuto adeguate attenzioni da quanti si occupano di persone disabili (sovente, disabili medesimi)?......
Per verificare le citate modalità di trattamento, basta andare sul web (*), dove emerge una rassegna di informazioni attinenti a descrizioni sintetiche , il taglio è giornalistico ed incline a letture ascrivibili fra il bonario ed il parziale. Non emergono analisi che approfondiscano i dati secondo procedimenti analitici verificabili, ovvero provvisti di riferimenti scientifici alla fonte. Francamente, al cospetto di quegli approcci sembra d trovarsi di fronte ad una sorta di “ gaia scienza “ in versione tendenziosamente naif, ma siamo abbastanza disincantati per sapere che le strategie votate al propinare le dolcificazioni dell’ inesigibile, passano anche per l’ espediente catartico della virtualità……
In tali ambiti, si inaugura finanche la statistica romanzata, riferendosi a fantomatici studi sulle b. a. Se un argomento rende, la fantasia umana non ha limiti….
E’ il reiterarsi di quelle coperture virtuali – medianiche incontrate in precedenza.
A questo quadro, si aggiunge qualche riflessione di taglio accademico rivolta ad aspetti metodologici comunque utili.
Collegando tale politica culturale ad una verità generale , ma parziale, vi è da constatare che la rappresentazione di questo studio dell’ ISTAT ha ricevuto il destino a cui sono pre – destinate le tematiche reputate marginali (18). Il dato è vero, tant’ è che la stessa ISTAT, nel suo sito web colloca tali statistiche in posizione “ defilata “…..nel senso che non vi è cenno nel portale (a differenza di vari altri temi IMPORTANTI) è può cercarle chi già sa che esistono o chi vi si imbatte navigando con un minimo di perizia virtuale!.....
Insomma, la medicina è amara, allora taluni la addolciscono….altri la nascondono!.....
Si badi, tutto ciò non è casuale, si tratta di sistemare virtualmente!......
Però, al fine di determinare tutto questo vi sono delle ragioni più specifiche, situate a monte ed a queste si può arrivare con un’ analisi appropriata.
Nella parte introduttiva del precedente paragrafo si è pensato di esordire proponendo una lettura analitica dei dati ISTAT sui ricoveri nelle istituzioni totali. A seguire, per comprendere le cause di questa sistemazione > collocazione, si è proposto una rassegna sintetica delle scelte che hanno portato a questo epilogo.
A riprova del fatto che la statistica rende il dono della parola ai numeri, ripetiamo che essi parlano drammaticamente chiaro (TAV. SINOTTICA). Certo, per pregresse scelte politiche / di osservanza politica dell’ ISTAT, si tratta di statistiche non corredate di serie storica, ma questo è compensato ampiamente dal fatto che la giustapposizione fra disabilità e serragli è un fatto riscontrabile in analisi storico sociali, a partire dal XXVII ° secolo, ovvero dalla nascita dello stato moderno (19). Non a caso, essa è una costante attuale, nell’ ambito di tutte le aree del sistema mondo, ovvero U E inclusa. Ciò si conferma anche nel caso italiano, visto che l’ offerta < > domanda d’ istituzioni totali non è mai cessata e questo dato di fatto rappresenta in indice storico, già da tempo meritevole di riflessioni ed azioni politiche.
Ecco che per un insieme di variabili veniamo ad una questione strategicamente sensibile: oggi siamo al cospetto di una significativa tendenza di crescita di un fenomeno vecchio, un “ ritorno “ simultaneamente risaputo e rimosso . Infatti, si tratta di un effetto scabroso perché discendente da cause scomode da riconoscere. Detta scomodità diffusa deriva dal fatto che si tratta di un tema a delegittimazione multi direzionale. Infatti, da quanto si ricava dall’ insieme di queste statistiche, finiscono per uscirne mal messi in vari soggetti fra: associazioni di “ rappresentanza “ , sindacati, partiti di espressione governativa o di opposizione, nei loro alternarsi. A questo si aggiungono gli svariati apparati burocratico – amministrativi centrali / periferici, varie tipologie di operatori (intellettuali inclusi) ed i mass media. Le sole entità confessionali, quelle almeno sono annoverabili per coerenza di fini….
Per tutti gli altri, ognuno a carico del proprio ruolo, emerge una maldestra e mastodontica contraddizione fra ruoli istituzionali e propositi – promesse da un versante / REALTA’ VISSUTA dall’ altro. I pericoli politici ed istituzionali di queste a rotture di ruoli ed etiche, li rende quanto meno coesi allo stato latente, consociativi. Si tratta di una sorta di tacita intesa che trova terreno fertile in un contesto da “ sistema paese “ come quello italiano…..
Insomma, queste statistiche costituirebbero un pericolo per la legittimazione degli effetti propagandistici di quel mito “ positivo “ chiamato diritti inesigibili. Ribadiamo, su di essi, sono in molti a vivere di quella che è proponibile come una sorta di nuova rendita ricardiana, fondata sull’ apparenza virtuale da far percepire come la certezza di un’ imminente realtà…..
Dunque, per l’ insieme di questi soggetti, essere posti di fronte ad una rappresentazione scientifica ed ufficiale che in sostanza direbbe : “ Oltre il misticismo - retorica dei diritti inesigibili e di quei pochi diritti esigibili in esaurimento (erosione), vi sono le ISTITUZIONI TOTALI “…..è evidente che si tratta di una rappresentazione (quanto meno) da minimizzare, o meglio da ELUDERE - OCCULTARE!....
- Conclusioni: “ Di chi?..... Perché ?”.....
Premesso che non è questa l’ unica analisi proponibile e tanto meno esaustiva, per il restante non
dovrei essere io a trarre delle conclusioni su quanto emerso in questo itinerario articolato fra dati ufficiali circa la disabilità in Italia. Le conclusioni le dovrebbero trarre tutti quelli che hanno (godono di ) ruoli istituzionali, politici, sindacali e le organizzazioni di rappresentanza per condizione. Molti di questi ultimi, sono quelli che si dimenano in nome dei concetti del : “ Mai più su di noi, senza di noi , le regole e le pratiche contro la discriminazione e per le pari opportunità – vita indipendente, la discriminazione di genere ed ogni sorta di slogan – frase fatta sull’ integrazione – inclusione economico - sociale.
Dovrebbe soffermarsi chi tratta a vario titolo di scuola , lavoro, mobilità – barriere architettoniche e crede (si illude o vuole illudere) di produrre risultati che incidono sulla realtà….
Da questi percorsi statistici, su tutta la tematica emerge con forza una grande questione: il monitoraggio della quantità / qualità della spesa in termini di verifica circa gli scarti fra costi e benefici. Tale nodo ha risvolti politico < > giudiziari. Per quanto attiene quest’ ultimo potere, sarebbe ora che Corte dei Conti e Magistratura in genere , prestassero maggiori attenzioni alla tematica. A sua volta, si tratta di una tematica che chiama in causa compiti di controllo di spesa, propri della stesa U. E.
Questi dati dovrebbero farli riflettere sui motivi di un abissale scarto fra propositi rappresentati nella ritualizzazione della propaganda politica e la rappresentazione scientifica della realtà. Per taluni, tale riflessione dovrebbe sfociare su di un terreno squisitamente etico: l’ onestà - coraggio intellettuale. Su questo terreno, pare che gli esempi siano rari,ma non solo perché sono rare le persone disabili intellettualmente impegnate…..
Certo, a conti fatti , i dati ISTAT sono (solo) degli strumenti scientifici, se e come usarne i risultati, questo dipende solo dall’ AZIONE della MOLTITUDINE, nella sua capacità di DISPIEGARSI.
Un’ osservazione attenta ad i percorsi che hanno portato alle conclusioni a cui siamo giunti, dovrebbe fungere da stimolo affinché vi sia una spinta seria e decisa verso il mutamento. Evidentemente, questo potrebbe verificarsi a mezzo dell’ AZIONE ORGANIZZATA delle persone disabili comuni e di tutti coloro che possano porsi al loro fianco su contenuti di programma che siano condivisibili, essenziali, semplici, chiari e trasparenti.
Le conclusioni di questi ultimi e possibilmente per tali fini, sono quelle che potrebbero dare alla presente riflessione un senso di AZIONE PER IL MUTAMENTO.
BIBLIOGRAFIA, NOTE E TAVOLE
(*) Il presente testo consta di una versione sintetico – divulgativa;
1) C. Roberti , Casistiche o statistiche sull’ handicap? (…..) In CLIO 1988 n° speciale a cura di E. Pugliese;
2) C. Corposanto, (a cura di) Metodologia e tecniche non intrusive nelle ricerca sociale, F. Angeli Mi 04;
C. Bezzi, Il disegno della ricerca valutativa, F. Angeli Mi 03;
3) Detta svolta si riferisce ai seguenti provvedimenti d’ indirizzo: Presidenza del Consiglio dei Ministri
( a cura di ) “ Atti I ° Conferenza Nazionale sulle Politiche dell’ Handicap “, Roma 1999;
4)http://www.disabilitaincifre.it/index.asp),http://www.disabilitaincifre.it/descrizioni/altriapprofondimenti.asp
Questi sono i link di base per risalire alla fonte dei dati a cui si è fatto riferimento, da qui si può allargare l’ accesso verso altre raccolte statistiche intorno alla disabilità;
La svolta nella rappresentatività statistica di disabilitaincifre parte innanzitutto dalla costruzione di un nuovo campionamento. Qui l’ ISTAT ha fatto uso uno strumento molto più potente rispetto all’ esperienza precedente, utilizzando un campione rappresentativo per quota – area con una leggera sottostima imputabile a varie questioni segnatamente tecniche e reperibili nella corrispondente relazione ISTAT. In sostanza, osservando i dati in termini concreti e divulgativi bisogna orientarsi nel modo seguente: tutto ciò che è stato rappresentato, nella realtà si deve intendere come leggermente maggiorato. A sua volta, tale maggiorazione è statisticamente determinabile.
5) Torna a nota 4 ;
6) P. Fantozzi, Politica , clientela e regolazione sociale. (….) Rubbettino Cz 03; P. Pezzino, Il paradiso
abitato dai diavoli. Società elites (…..) F. Angeli, Mi 92; L Graziano, Clientelismo e mutamento politico,
F. Angeli Mi 85; F. Ramella, Gruppi sociali e cittadinanza democratica. L’ associazionismo nella
lettura sociologica. In “ Meridiana “ , n ° 20 – 94;
(*) Il concetto di Istituzione Totale come categoria da ideal tipo fu formulato da E. Goffman ed
approfondito in Italia da F. Basaglia. I percorsi storico – sociali di tali luoghi di separazione,
intesi come serragli, furono documentati da M. Foucault.
E. Goffman , Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’ esclusione e della violenza,
Edizioni Comunità Mi 01, F. Basaglia, La maggioranza deviante, Einaudi To 71,
M. Foucault , Storia della follia nell’ età classica, Rizzoli Mi 1976 ;
(*) Le tipologie burocratiche riconducibili al concetto di istituzione totale possono essere varie, una loro
classificazione può essere interessante in rapporto alla necessità di definirne il tipo monetario
per classificarne le varie rette.
E’ interessante notare i simbolismi sofistico – eufemistici utilizzati nei linguaggi burocratici
a supporto di questi luoghi del detenere – ritenere separando: “ Case Famiglia “, Comunità Alloggio”
“ Accoglienza & Presidi “…..per vari scopi e denominazioni sociali. Insomma, sostantivi, aggettivi ed
acronimi in quantità, ma in ogni caso si tratta sempre delle famigerate ISTITUZIONI TOTALI;
(*) Per risalire al concetto di povertà relativa, ad indirizzo teoricamente orientato al tema qui esposto,
vedi : P. Alcock R. Siza , La povertà oscillante, F. Angeli Mi 03 , E. Corrieri, Parti eguali fra diseguali,
Il Mulino, Bo 01; G. Carbonaro (a cura di) Studi sulla povertà. Problemi di misura ed analisi
comparative, F. Angeli Mi 02;
(*) Redattore Sociale : intervento tematico febbraio 08;
7) Vedi carteggio fra il Senatore della Repubblica Ferdinando Rossi e Dr. A. R. Dionisi dell’
ISTAT;
8) U. Ascoli , Welfare State all’ italiana. Le politiche sociali nella società complessa, Feltrinelli Mi
1984,
P. Donati (a cura di) Le politiche sociali nella società complessa, F. Angeli, Mi 1986 ;
9) G. Arrighi S. Beverly Jr. , Caos e governo del mondo. Come cambiano le egemonie e gli equilibri
planetari, B. Mondatori Mi 06;
(*) Sulla tematica nel suo insieme vedi www.consequor , www.pianetabile.it ;
10) Per reperimento dati fonte istituzionale vedi: www.istat.it/lavoro/sistema_istruzione/linkutili.html ;
11) A. Trobia, La ricerca sociale quali – quantitativa, F. Angeli Mi 05;
12) C. Roberti, Percorsi verso una vita indipendente per tutti..… in “ A “ n° 9 dicembre 07 – gennaio 08
(numero speciale) “ DOSSIER V. I. “ ;
13/17) C. Roberti, SAPERI SOCIALI E DISABILITA’ (RELADIVABILITA’) : PER UNA RICOSTRUZIONE
DI UN PERCORSO STORICO SOCIALE IN CHIAVE DI SISTEMA MONDO (in preparazione) ;
(*) I siti sono variegati , per reperirli basta immettere le seguenti parole: analisi, statistiche ,
istat , disabilità;
18 – 19) Op. Cit. nota 13;
(*) CARTELLA FILE TAVOLE ISTAT DISABILITAINCIFRE A – E2 -fonte istat;
(*) FILE TAVOLA SINOTTICA.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Vedi altri articoli di Claudio Roberti:
- percorsi di vita indipendente
- dati ISTAT sulla disabilità italiana 1
- dati ISTAT la chiave di volta 2
- dati ISTAT Organizzazioni no-profit 3