Il Movimento per la Vita Indipendente

Nasce negli Stati Uniti nei primi anni '70 grazie alla volontà e all'impegno di un gruppo di studenti con disabilità dell'Università della California, a Berkeley. Da allora, con forte determinazione, il movimento ha esteso la sua attività a livello internazionale, battendosi per rivendicare e conquistare i diritti inalienabili della persona con disabilità: diritto all'assistenza personale autogestita, a formare una famiglia, a servizi adeguati, agli ausili tecnici, all'istruzione e alla formazione, al lavoro e all'integrazione sociale. In sostanza, il diritto alla vita.

 

Vita Indipendente: tentativo di una definizione.

Adolf D. Ratzka, dr. in medicina
Istituto della Vita Indipendente, Stoccolma, Svezia

La Vita Indipendente è una filosofia e un movimento di persone con disabilità che lavorano per pari opportunità, rispetto per se stesse ed autodeterminazione. "Vita Indipendente" non significa che noi non abbiamo bisogno di nessuno, che vogliamo vivere isolati. "Vita Indipendente" significa che noi vogliamo esercitare il medesimo controllo e fare le medesime scelte nella vita di tutti i giorni che i nostri fratelli e sorelle non disabili, vicini ed amici danno per scontati. Noi vogliamo crescere nelle nostre famiglie, andare nelle scuole della nostra zona, usare lo stesso bus, fare lavori che siano in linea con la nostra educazione e le nostre capacità. Di più, proprio come tutti, noi abbiamo bisogno di farci carico della nostra vita, pensare e parlare per noi.

Le statistiche mostrano che le persone disabili possiedono un minore grado d'istruzione rispetto al resto della popolazione, hanno situazioni abitative peggiori, sono più spesso disoccupate; in numero minore arrivano a sposarsi ed hanno figli. È stato detto di noi che siamo diversi e che le nostre vite sono inutili, come sottintendono i termini di "ipovalidi" e di "invalidi".

In molti paesi ai bambini con disabilità non si dà neppure la possibilità di vivere, vengono uccisi prima di nascere.

Una delle cause più importanti del nostro essere cittadini di serie B è il modo in cui la società guarda alle persone con disabilità. C'è una tendenza ad etichettare la gente che sia diversa come "malata". I malati non debbono lavorare e sono esentati dai normali obblighi della vita. Finché noi siamo considerati malati dal grande pubblico, ci sarà poca comprensione, per esempio, sul perché noi abbiamo bisogno di usare i normali mezzi pubblici, perché esigiamo lavori veri e non solo terapia.

Se noi permettiamo alle altre persone di trattarci come fossimo dei malati, non dovremmo essere sorpresi se loro cercano di proteggerci e così facendo controllano e limitano la nostra vita. Se noi ci consideriamo malati e in costante necessità di una "cura", sarà difficile per noi accettare la nostra disabilità come una componente normale della vita e dirigere la nostra vita.

Il modello medico di disabilità vede il problema nel singolo. Io non posso usare i trasporti pubblici nella maggior parte dei paesi. Questo accade perché ho avuto la polio una trentina d'anni fa oppure perché gli autobus sono costruiti senza considerare i bisogni di TUTTI gli utenti? Fino a quando la società continua a credere che il problema risiede in me, non ci saranno bus accessibili.

Il modello medico usa etichette diagnostiche che tendono a dividere le persone disabili in molti diversi gruppi. Le diagnosi ci fanno sentire diversi quando, di fatto, noi condividiamo molti degli stessi problemi. Nella filosofia della Vita indipendente non ha importanza per quali ragioni abbiamo una disabilità. Quello che importa è il riconoscere che tutti indipendentemente dal tipo e dal grado della loro disabilità possono imparare ad assumersi maggiore responsabilità, a prendere più decisioni riguardo alla loro vita e ad apportare un contributo maggiore alle loro famiglie e alla comunità.

La riabilitazione è un intervento che è limitato nel tempo e nell'azione. Noi abbiamo bisogno di avere accesso ai migliori servizi medici e riabilitativi inclusi gli ausili come carrozzine, arti artificiali, ecc. Ma la vita vera comincia dopo la riabilitazione, solo quando noi scopriamo se la società è pronta ad accettarci. Sfortunatamente il più delle volte scopriamo che la società ha più bisogno di essere riabilitata di noi.

In molti paesi occidentali molti di noi vengono rinchiusi negli istituti. Lì, si sostiene, possiamo essere meglio "curati". Con questa argomentazione siamo messi in asili nido speciali, scuole speciali, laboratori speciali, abitazioni speciali e trasporti speciali. Scuole speciali o laboratori speciali ci fanno sentire diversi e male ci preparano alla competitività nel mondo reale. Nell'occidente combattiamo per chiudere gli istituti e per convogliare la nostra strada nella corrente principale della società. In altre parti del mondo non si può ancora avere altro che molti istituti. In questi luoghi c'è la possibilità storica di evitare gli errori che abbiamo fatto in occidente.

In molti paesi ci sono organizzazioni di carità, capeggiate da persone non disabili che raccolgono denaro dipingendoci come esseri privi d'aiuto, miseri e da compatirsi. Spesso queste organizzazioni intervengono a nome delle persone disabili ed informano i governi sulla politica per la disabilità. Alle persone disabili per se stesse raramente viene chiesto di che cosa hanno bisogno.

Come possiamo migliorare la nostra situazione? Come possiamo avere la procura noi stessi?

Dobbiamo spezzare il monopolio dei professionisti non disabili che parlano a nome nostro, definire i nostri problemi e suggerire le soluzioni per le nostre necessità. Dobbiamo metter su delle organizzazioni efficienti che rappresentino il punto di vista delle stesse persone disabili. I governi debbono riconoscere le nostre organizzazioni come collaboratrici nell'elaborare la politica sulla disabilità. Noi persone disabili dobbiamo aiutarci l'un l'altra a cambiare il nostro atteggiamento nei confronti di noi stessi. Guardarti come una persona normale è una dura battaglia quando ti è sempre stato detto che sei diverso, che non puoi fare questo e non puoi fare quello. In questa lotta abbiamo bisogno di qualcuno in cui identificarci, qualcuno che si trova in una situazione simile. Noi lo chiamiamo sostegno alla pari. Sostegno alla pari significa partecipare dei frutti dell'esperienza di uno.

In parecchi paesi le persone con disabilità si aiutano vicendevolmente in Centri per la Vita Indipendente scambiandosi informazione, consigli, aiuto legale e supporto alla pari. Le persone che vi lavorano sono esse stesse disabili e sanno di che parlano per esperienza di prima mano. I centri lavorano per cambiamenti nella società, come aumentare l'accesso nelle abitazioni e nei trasporti. In diversi paesi i centri per la Vita Indipendente ricevono regolari sovvenzioni dal governo, perché è riconosciuto che le persone disabili sono i migliori esperti nelle materie concernenti la disabilità.

Ogni società che pretende di essere una democrazia e che rispetta i diritti umani deve estendere questi diritti a TUTTI i suoi cittadini. Per garantire i nostri diritti ci dev'essere una legislazione che includa monitoraggio, revisioni periodiche e sanzioni che colpiscano. Le organizzazioni di persone disabili debbono essere coinvolte in maniera determinante in tutti questi passaggi. La legislazione deve proteggerci dalla discriminazione in tutti i campi della vita pubblica e privata. Gli Stati Uniti hanno creato un esempio con il loro gli Americani e l'Atto sulle Disabilità che è stato fortemente influenzato dalla filosofia della Vita Indipendente. Ma noi persone disabili dobbiamo renderci conto che nessun passo di legislatura di per se stesso ci garantirà automaticamente i nostri eguali diritti, a meno che ciascuno di noi nella sua vita di tutti i giorni rivendichi attivamente ed usi questi diritti.

Per tutta la durata della storia c'è stato l'atteggiamento mentale che la disabilità sia una catastrofe per il singolo individuo e la famiglia, che noi dipendiamo dagli altri membri della società, che noi non possiamo contribuire, che noi siamo un peso. Questo lavaggio del cervello ci ha sviati dal prender consapevolezza che la disabilità è un problema politico, una questione d'ineguale distribuzione del potere, non un problema medico o tecnico. Poiché ci è stato detto che noi non possiamo fare molto da soli, abbiamo affidato ad altri di combattere per la nostra causa. Siccome abbiamo provato vergogna per la nostra disabilità, siamo rimasti dietro le quinte.

Siamo l'estrema minoranza a combattere per i nostri diritti e non ce ne andremo. Anche con la prevenzione più sofisticata, servizi di arresto sul nascere e riabilitazione ci saranno sempre persone con disabilità e spetta a noi costruire le nostre società in maniera tale che ciascuno possa viverci con dignità e rispetto per se stesso. E dobbiamo partire da adesso.

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